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EUCARISTIA
Pietrelcina, 29 marzo 1911
Mio carissimo padre,
(P Benedetto)
dall'entrare della primavera in qua mi sento più che mai
accresciuti i malori (...)
Ma ciò che più mi ferisce, padre mio, è il
pensiero di Gesù sacramentato. Il cuore si sente come attratto
da una forza superiore prima di unirsi a lui la mattina in sacramento.
Ho tale fame e sete prima di riceverlo, che poco manca che io
non muoia di affanno. Ed è appunto perché non posso
di non unirmi a lui, e alle volte colla febbre addosso sono costretto
ad andarmi a cibare delle sue carni.
E questa fame e sete anziché rimanere appagata, dopo che
l'ho ricevuto in sacramento, si accresce sempre più. Allorché
poi sono già in possesso di questo sommo bene, allora sì
che la piena della dolcezza è proprio grande che poco manca
da non dire a Gesù: basta, che non ne posso quasi proprio
più. Dimentico quasi di essere al mondo; la mente ed il
cuore non desiderano più nulla e per molto tempo alle volte,
anche volontariamente non mi vien fatto di desiderare altre cose.
Mi benedica Il suo fra Pio
Ieri, festività
di san Giuseppe, Iddio solo sa quante dolcezze provai, massime
dopo la messa, tanto che le sento ancora in me. La testa ed il
cuore mi bruciavano; ma era un fuoco che mi faceva bene. La bocca
sentiva tutta la dolcezza di quelle carni immacolate del Figlio
di Dio. Oh! se in questo momento che sento quasi ancora tutto
mi riuscisse di seppellire sempre nel mio cuore queste consolazioni,
certo sarei in un paradiso!
Quanto mi rende allegro Gesù! Quanto è soave il
suo spirito! Ma io mi confondo e non riesco a fare altro se non
che piangere e ripetere: Gesù, cibo mio!... Ciò
che più mi affligge si è che tanto amore di Gesù
viene da me ripagato con tanta ingratitudine... Egli mi vuole
sempre bene e mi stringe sempre più a sé. Ha dimenticato
i miei peccati, e si direbbe che si ricorda solo della sua misericordia...
Ogni mattina viene in me, e riversa nel mio povero cuore tutte
le effusioni della sua bontà. Vorrei, se fosse in mio potere,
lavare col mio sangue quei luoghi, dove ho commesso tanti peccati,
dove ho scandalizzato tante anime. Ma viva sempre la misericordia
di Gesù.
Questo Gesù quasi sempre mi chiede amore. Ed il mio cuore
più che la bocca gli risponde: o Gesù mio, vorrei...
e non posso più continuare. Ma alla fine esclamo: si, Gesù,
ti amo; in questo momento sembrami di amarti e sento anche il
bisogno di amarti di più; ma, Gesù, amore nel cuore
non ce ne ho più, tu sai che l'ho donato tutto a te; se
vuoi più amore prendi questo mio cuore e riempilo del tuo
amore e poi comandami pure di amarti, che non mi rifiuterò;
anzi te ne prego di farlo, io lo desidero.
Dal giovedì sera fino al sabato, come anche il martedì
è una tragedia dolorosa per me. Il cuore, le mani ed i
piedi sembrami che siano trapassati da una spada; tanto è
il dolo¬re che ne sento.
A Padre Agostino 21/03/1912
O Raffaelina, quale eccesso d'amore nel Figlio per noi ed in pari
tempo quale eccesso di umiltà nel chiedere al Padre di
permettergli a che rimanga con noi fino alla fine del mondo! Ma
quale eccesso ancora d'amore del Padre per noi, che dopo averlo
visto miserando giuoco di sí pessimi trattamenti, permette
a questo suo dilettissimo Figliuolo che se rimanga ancora fra
noi, per essere ogni giorno fatto segno a sempre nuove ingiurie!
Questo sí buon Padre come mai ha potuto a ciò consentire?
Non bastava, o Padre eterno, aver voi permesso una volta che questo
Figliuolo vostro diletto fosse dato in preda al furor dei nemici
giudei? Oh! come mai potete acconsentire che egli se ne rimanga
ancora in mezzo a noi per vederlo ogni giorno in così indegne
mani di tanti pessimi sacerdoti, peggiori degli stessi giudei?
Come regge, o Padre, il vostro pietosissimo cuore nel vedere il
vostro Unigenito si trascurato e forse anche disprezzato da tanti
indegni cristiani? Come, o Padre, potete acconsentire che egli
venga sacrilegamente ricevuto da tanti indegni cristiani?
O Padre santo, quante profanazioni, quanti sacrilegi deve il pietoso
vostro cuore tollerare!! Chi dunque, o Dio, prenderà le
difese di questo mansuetissimo Agnello, che mai apre bocca per
la causa propria e solo la apre per noi? Deh! Padre, a me oggi
per un sentimento egoistico non posso pregarvi di togliere Gesù
da mezzo agli uomini; e come potrei vivere io, sì debole
e fiacco, senza di questo cibo eucaristico? come adempire quella
petizione, fatta in nome nostro da questo vostro Figliuolo: «Sia
fatta la volontà tua, come in cielo così in terra»,
senza essere fortificato da queste carni immacolate? Se ancora
adesso col potente soccorso che Gesù ci ha lasciato in
questo sacramento di amore, mi sento spesso sul punto di vacillare
e di ribellarmi alla vostra volontà, che ne sarebbe di
me se io vi pregassi e voi mi esaudiste, di toglierci Gesù
da in mezzo agli uomini per non vederlo così malamente
trattato?
Ah! non ho questa forza, che forse pur dovrei avere se amassi
un tantino di più questo santissimo vostro Figliuolo; ma
intanto, Padre santo, vi scongiuro o di porre presto fine al mondo
o di dar termine a tante iniquità, che contro l'adorabile
persona del vostro Unigenito continuamente si permettono. Fatelo,
o Padre, giacché il potete; fatelo, perché tanto
richiede l'amore che questo Figlio vi porta. Glorificatelo, come
egli ha glorificato voi ed intanto, Padre santo, dateci oggi il
nostro pane quotidiano; dateci Gesù sempre durante questo
nostro breve soggiorno in questa terra di esilio; datecelo e fate
che noi ce ne rendiamo sempre più degni di accoglierlo
nel nostro petto; datecelo sì, e saremo sicuri di adempiere
quanto Gesù stesso per noi a voi ha indirizzato: «Sia
fatta la volontà tua, come in cielo così in terra».
Ahimè! Raffaelina, ancora adesso mi accorgo di essere uscito
fuori soggetto. Perdonatemi e compatitemi; è un povero
infermo di cuore che vi parla! Chi sa la testa dove mi porterebbe
ancora, ma non voglio abusare e mettere in durissime prove la
vostra pazienza, più che il vostro compatimento.
A Raffaelina Cerase 23/02/1915
Pietrelcina, 19 maggio
1914
Dilettissima figliuola
di Gesù Cristo,
Gesù e Maria siano sempre nel vostro cuore e vi facciano
Santa. (...)
Troppo rigorosamente avete interpretato il mio sentimen¬to
riguardo a ciò che vi scrissi sul conto di vostra sorella.
Io non ho mai messo in dubbio essere la sua anima accetta al Signore,
vi dicevo che vedevo assai di malocchio la condotta da lei tenuta
verso la mensa eucaristica. In questi tempi così tristi
nei quali tante anime fanno apostasia da Dio, non so persuadermi
come si possa vivere della vera vita eterna senza il cibo dei
forti. In questi tempi che siamo circondati continuamente da gente
che ha nel cuore l'odio a Dio e la bestemmia sempre sulle labbra,
il mezzo sicuro, per mantenersi esenti dal pestifero morbo che
ci circonda, è quello di fortificarci col cibo eucaristico.
Ora il mantenersi esenti da colpa ed il far progresso nella via
della perfezione non potrà ottenerlo chi vive per lunghi
mesi senza satollarsi delle immacolate carni dell'Agnello divino.
Io non so come la pensano gli altri su questo punto; per me sta
sempre che, date le attuali circostanze in cui viviamo, è
illusorio il volersi persuadere di fare un passo verso la perfezione
chi si limita a comunicarsi una o due volte fra l'anno. (...)
Dio vi benedica... fra Pio,
cappuccino
«Non deve mai tralasciare di satollarsi del cibo degli angeli.
Molte saranno le tentazioni che riceverà dal nemico, che
non ignora il vantaggio che da questo cibo riceverà l'anima
sua, ma non si spaventi affatto. Gesù promette che non
lascerà di assisterla.
Disprezzi le insidie di quegli impuri apostati e con illimitata
fiducia si assida all'ombra dello sposo divino e nulla tema: all'ombra
di un sì fatto albero i raggi scottanti di Lucifero non
vi penetreranno; non tema la sua anima di rimanerne abbronzata:
quei raggi che vorrebbero sfiorarla, la faranno camminare sempre
con più timore ed amore. Così, dove il demonio vorrebbe
farla discapitare, le fa guadagnare, invece, nuovi tesori per
il paradiso.
A Raffaelina Cerase 30/12/1915
Vivi dunque tranquilla.
Allorché duri questo genere di male, non devi porti in
angustia, non devi tralasciare mai di avvicinarti al sacro banchetto
del divino Agnello, poiché nessuna cosa raccoglierà
meglio il tuo spirito che il suo re, veruna cosa lo riscalderà
tanto che il suo sole, veruna cosa lo stempererà sì
soavemente che il suo balsamo. Non vi è altro rimedio più
potente che questo, mia dilettissima figliuola.
A Erminia Gargani 06/02/1918
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